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Stai zitta di Michela Murgia, Einaudi

Come stanno le donne? Come si sentono? Che cosa vogliono per sé stesse e le loro madri, sorelle, amiche o compagne e figlie?

Che abbia fine ogni violenza, ogni discriminazione e disparità, a cominciare da quelle veicolate ogni giorno attraverso il linguaggio.

Volete qualche esempio?

Michela Murgia in Stai zitta e le altre nove frasi che non vogliamo sentire più, edito da Einaudi all’inizio di marzo, elenca e scandaglia le più frequenti, passando al setaccio dieci frasi ricorrenti nel quotidiano femminile e i corollari che ne derivano.

Perché, se è vero che le parole rappresentano i nostri pensieri ed emozioni, esplicitano anche ciò che pensiamo degli altri e quello che loro pensano di noi. Di conseguenza, tale rappresentazione verbale tratteggia dinamiche relazionali, che sottendono rapporti di varia natura, e quindi anche quelli di genere.

Che cosa si annida, allora, dietro frasi quali:

Stai zitta – Ormai siete dappertutto – Come hai detto che ti chiami? – Brava e pure mamma! – Spaventi gli uomini – Le donne sono le peggiori nemiche delle altre donne – Io non sono maschilista – Sei una donna con le palle – Adesso ti spiego – Era solo un complimento.

La sedimentazione di secoli e secoli di cultura (e società) patriarcale, in cui alle donne, attraverso il linguaggio, è stato ritagliato – e quindi imposto, senza possibilità concrete di replica o dissenso, tanto meno di cambiamento – un ruolo subalterno, ancillare, in casa e nel lavoro; rispetto al quale, al massimo, esse hanno potuto scegliere tra lo stare alle spalle di un grande uomo, godendo dei benefici di quella posizione privilegiata (da difendere con ogni mezzo da qualsiasi minaccia, specie quella delle altre donne) e una carriera da virago, cui sacrificare ogni affetto e la propria stereotipata essenza: quella femminilità tradita o mancata, che tanto si rimarca e rimprovera alle donne che raggiungono posizioni apicali.

L’analisi di Murgia è serrata, documentata, sapientemente argomentata.

Stai zitta è un libro che si legge d’un fiato, ma che, al tempo stesso, si sottolinea, si annota, si studia. Poi si metabolizza e sedimenta, se ne parla anche e si consiglia alle amiche con il fine, più o meno esplicito, di andare insieme non solo a cercare, nella vita di tutti i giorni, le tracce di quella cultura della differenza e marginalità della donna che perdura e niente sembra scalfire, ma soprattutto per organizzarsi, senza indugiare, allo scopo di porvi fine, trasformando radicalmente il pensiero comune.

Stai zitta è un peana. Un invito alla mobilitazione e all’unione – l’otto marzo non è forse una lotta che si rinnova di giorno in giorno, in nome della parità e dignità?

È un invito rivolto non solo alle donne, ma anche agli uomini che ne colgono il disagio e le ragioni profonde, affinché insieme ribaltino la prospettiva, rifiutino le dinamiche ataviche del potere – maschile – che da secoli limita la donna a essere mero oggetto di desiderio, anziché soggetto di desideri – i propri. Una donna che è ridotta al silenzio e privata del diritto al consenso, sempre a stretto contatto con una “cultura dello stupro” – sì, costante, culturale, psicologico, sociale, non solo fisico –, che per lo più la considera una preda e, come tale, le lascia l’alternativa di riconoscersi in quel ruolo oppure rifiutarlo, correndo tuttavia il rischio di non essere più vista, guardata, cercata e, dunque, di risultare invisibile o inesistente.

Sotto questa grave minaccia, il più delle volte le donne accettano le regole del predatore che ora le caccia ora le lusinga e le premia, tenendole sempre un passo, solo uno, ma sempre dietro di sé.

È necessario educare lo sguardo – collettivo, di uomini e donne sulle stesse donne –, ci suggerisce Michela Murgia. Deve mutare la percezione, ma per farlo, dobbiamo esserne consapevoli tutti, in primo luogo le donne. È un’urgenza collettiva, sociale. Solo così la donna può essere vista per ciò che è, ed essere libera e sé stessa.

Il cammino delle donne è ancora lungo e, forse, tortuoso, ma Murgia ci addita anche un modello per portarlo a compimento, quello collaborativo tra donne che, ciascuna con le proprie competenze, contribuiscono alla lotta, creano il cambiamento, rispettandosi e sostenendosi a vicenda.

È il modello posto in essere da Morgana, podcast di successo divenuto un libro di altrettanto successo, che Michela Murgia e Chiara Tagliaferri da anni promuovono attraverso una narrazione diversa e a più voci, con cui portano alla nostra attenzione le vite di donne straordinarie, ma non omologate, che la Storia e la memoria collettiva hanno dimenticato e trascurato perché scomode, fastidiose, ribelli. Quante Morgane ci sono tra noi ancora oggi?

È il modello che si ripropone in Stai zitta, pamphlet incendiario, realizzato con il contributo di Stefania Spanò che, sotto lo pseudonimo di Anarkikka, firma non solo la copertina, ma tutte le vignette che introducono, chiosandole, le dieci frasi “incriminate”. E Anarkikka, da anni, firma campagne contro il femminicidio e ogni violenza o discriminazione di genere, compresa la tratta per lo sfruttamento sessuale delle donne, e che, una decina di giorni fa, è uscita in libreria con Smettetela di farci la festa. Di discriminazioni in genere, una vera e propria “kikka”, ops, scusate, una vera e propria meraviglia per immagini e slog efficaci, da sfogliare, leggere e regalare, cui è stata dedicata una precedente recensione-scontrino.

Leggete Murgia, gustate le vignette di Anarkikka, ma soprattutto mutuatene il modello: fate rete, ragazze, donne tutte. Unite si può, si crea bellezza e cambiamento… E a quanto pare, ci si diverte anche. Provateci. Proviamoci.

Facciamo rumore e non stiamo zitte.


Flavia Todisco


Autrice: Michela Murgia

Titolo: Stai Zitta

e le altre nove frasi che non vogliamo sentire più

Copertina e vignette: Stefania Spanò, in arte Anarkikka

Editore: Einaudi

Anno di pubblicazione: 2021


Consigliato? A tutte le donne, bambine, ragazze, adulte che siano, ai loro amati compagni e a chi voglia iniziare la rivoluzione del linguaggio e di tutto il resto...


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